La retorica di Aristotele è molto più di una semplice reminiscenza scolastica.

Te ne voglio parlare perché trovo che più di 2350 anni fa, illustrando le tecniche persuasive della retorica, il filosofo greco abbia individuato tre categorie che rispecchiano alla perfezione il funzionamento del nostro cervello. O meglio dei nostri “tre cervelli” – come li definiva il neuroscienziato Paul MacLean – sviluppatisi durante il percorso evolutivo. 

Pathos, ethos e logos riflettono le tre dimensioni attraverso cui costruiamo le nostre esperienze. 

Pathos
La capacità dell’oratore di “farsi aprire la porta”, entrando in sintonia con gli individui che compongono il pubblico. Si tratta di accendere la relazione rassicurando il cervello dell’istinto, il cosiddetto “cervello rettiliano”. Ciò che sto per dire non rappresenta un “attacco” a quello che pensi: abbiamo molte cose in comune, vengo in pace.

Ethos
È la seconda categoria aristotelica, che mi piace avvicinare al sistema limbico, il cervello emozionale. La capacità di accendere in chi ascolta emozioni positive, basate sulla credibilità e la fiducia. Non siamo ancora al livello logico: per certi aspetti è quello che oggi, nel gergo della comunicazione dei new media, viene definito “tone of voice”. Ti coinvolgo e catturo la tua attenzione attraverso uno stile in grado di ispirarti fiducia. 

Logos
Entra in funzione la neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello. Quella in cui ha sede il linguaggio, il ragionamento logico. Aristotele fa riferimento a diverse modalità di argomentare, come il ragionamento induttivo e deduttivo. 

Siamo alla parte più raffinata della comunicazione, che ha effetto solo se prima ho agito sugli altri due livelli: quello dell’istinto e quello dell’emozione

Pathos, ethos e logos, oltre ad aiutarci a schematizzare una modalità di comunicazione efficace, ci indicano l’esatta successione degli elementi con cui argomentare. È proprio questa la combinazione segreta capace di aprire negli altri la cassaforte della fiducia e dell’attenzione.