“Io ho assolutamente ragione”, “Il mio giudizio è obiettivo”, “Oggettivamente, le cose stanno così”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare, e abbiamo noi stessi pronunciato, queste parole? Quando accade, cadiamo vittime di un automatismo mentale che, nel gergo scientifico, si definisce “bias del punto cieco”.
Il cosiddetto bias indica una tendenza distorsiva. Nel caso del “bias del punto cieco”, la distorsione sta nell’attribuire a se stessi un’oggettività e un’affidabilità superiori agli altri.
Questa credenza è un vero e proprio autoinganno. Significa ignorare che ogni sguardo sulla realtà, a cominciare dal nostro, è influenzato dal vissuto, dai condizionamenti ambientali e culturali, dall’esperienza personale che, proprio in quanto “personale”, è unica e irripetibile. Come unico e irripetibile è ogni essere umano.
Possiamo affermare, con il gusto del paradosso, che l’osservazione più oggettiva è riconoscere come tutto sia soggettivo. Ciascuno ha un proprio filtro attraverso il quale vede, vive e valuta quello che gli sta intorno: un aspetto che spesso dimentichiamo.
Secondo una ricerca dell’Università di Stanford, l’87% delle persone si ritiene superiore alla media e il 63% giudica l’immagine che ha di se stesso oggettiva e priva di pregiudizi. E se tutti, o quasi, ci raccontiamo di essere nel giusto, di avere l’esclusiva della ragione, non possiamo poi stupirci dell’elevato tasso di conflittualità presente in molti ambiti della nostra vita.
Allenarsi ad uscire dalle proprie convinzioni per concedersi di guardare le cose da altri punti di vista è come spalancare le finestre e cambiare aria. Considerare la diversità come un esercizio di libertà, uscire dalla propria ristretta zona di comfort per regalarsi il privilegio della scoperta di opinioni, idee, punti di vista differenti: è il primo passo verso l’empatia, che significa mettersi, generosamente e senza presunzione, nei panni dell’altro.
Un patrimonio prezioso che amplierà il nostro mondo e ci renderà più ricchi, tolleranti e felici.