C’è un vincitore, uno su tutti, ai Giochi Olimpici di Tokyo. Ha vinto l’allenamento mentale: l’importanza della testa nelle alte prestazioni sportive e, quindi, il ruolo fondamentale di chi se ne occupa, affiancando l’atleta proprio come fanno gli allenatori per la parte fisica e per gli aspetti tecnici. 

In realtà gli addetti ai lavori sanno bene che non si tratta di una novità: non lo è certamente per gli atleti più evoluti, che si avvalgono da anni del prezioso lavoro del mental coach per ottenere i loro successi. Prima dei Giochi di Tokyo, però, questo sembrava un argomento tabù, da trattare con cautela. Come se raccontare di affidarsi a un coach per l’aspetto mentale rappresentasse, di per sé, un’ammissione di fragilità anziché di grande consapevolezza.

Sono stati anzitutto gli azzurri Jacobs e Tamberi a sdoganare definitivamente l’importanza dello sport coaching. Mai, prima d’ora, un mental coach era stato messo sullo stesso livello (o, nel caso di Jacobs, su un livello persino superiore) rispetto agli allenatori sportivi. Del resto, pochi giorni prima era stata la star più attesa delle Olimpiadi, la ginnasta americana Simone Biles, a confessare come il suo drammatico stop fosse dovuto proprio a un corto circuito psicologico. Ed è grazie al gran lavoro mentale se, dopo qualche giorno, ha ritrovato la centratura che l’ha riportata in pedana per un bronzo che per lei vale almeno quanto un oro. 

I più esaltanti trionfi e le più brucianti sconfitte, dunque, sono dipesi principalmente dalla capacità di lavorare con maggiore o minore efficacia sulla mente degli atleti. E il mental coaching – o lo “sport coaching”, come in campo agonistico andrebbe più correttamente definito – diviene un aspetto più che mai centrale.

Un riconoscimento, finalmente, per chi ha dedicato anni agli studi e alla preparazione necessari per diventare un coach efficace. Un bel momento per tutti noi coach professionisti e, soprattutto, un momento di verità e di crescita: per il mondo dello sport e per ogni altro ambito richieda la capacità di fornire alte prestazioni. 

Ora è chiaro al mondo: molto, se non tutto, dipende dalla testa